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Charles viene imbarcato sul Paquebot-des-Mers-du-Sudcon l'ordine di mutare condotta. Il viaggio in India si riduce a una sosta alle Mauritius, unico periplo di ...
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CHARLES BAUDELAIRE

I fiori del male Traduzione di Cosimo Ortesta Introduzione di Giovanni Cacciavillani

Titolo originale: Les Fleurs du mal Traduzione: Cosimo Ortesta

Progetto grafico di copertina: Lorenzo Pacini Il logo BIG è stato realizzato da Sebastiano Ranchetti

www.giunti.it © 2007 Giunti Editore S.p.A. Via Bolognese, 165 - 50139 Firenze - Italia Via Dante, 4 - 20121 Milano - Italia ISBN 9788809753525 Edizione digitale realizzata da Simplicissimus Book Farm srl Prima edizione digitale 2010

Introduzione

CHARLES BAUDELAIRE Due eventi segnano l’infanzia del poeta: la morte del vecchio padre (1827) e il nuovo matrimonio della madre (1828). Nato il 9 aprile 1821 a Parigi, da un vedovo di 62 anni che sposa in seconde nozze una giovane di 27, Charles s’inebrierà, sei anni più tardi, del «verde paradiso degli amori infantili» nella casa bianca di Neuilly, fra Mariette, l’indimenticabile domestica, e Caroline, sua madre. «Epoca di un amore appassionato», scriverà anni dopo alla madre, «verso colei che è stata a un tempo idolo e compagna». Da qui un’impressione di tradimento di fronte al rapido nuovo sposalizio di lei con l’ambizioso ufficiale Jacques Aupick. Je n’ai pas oublié, voisine de la ville [Vicino alla città, non l’ho scordata] e La servante au grand cœur dont vous étiez jalouse [Alla serva dal gran cuore che destava la vostra gelosia] testimonieranno, trent’anni dopo, l’inguaribile ferita inflitta al bambino, abbandonato e depresso, dalla necessità di condividere con altri un essere, la madre, che credeva unicamente suo. «Sentimento di solitudine fin dall’infanzia», annota in uno dei suoi carnet intimi. Al collegio di Lione, dove il patrigno è trasferito dal 1828 al 1835, il nuovo Amleto comincia a lamentarsi di «grevi malinconie». Di ritorno a Parigi, l’adolescente è ammesso al liceo Louis-le-Grand dove divora, sino alla nausea, la poesia ro5

INTRODUZIONE

mantica e si distingue nella composizione di versi latini, benché si senta colpevole per quella che definisce «un’eterna pigrizia». Espulso a causa di uno sciocco incidente, quest’allievo “eccentrico” ottiene comunque il baccalaureato nell’agosto del 1839. Al patrigno che lo vorrebbe ambasciatore, Baudelaire oppone un sovversivo rifiuto: egli vuole essere poeta. Per compiacenza si iscrive alla facoltà di giurisprudenza, senza per questo modificare il suo desiderio di figliastro ribelle: «Essere indipendente il più presto possibile, cioè poter spendere i miei soldi»; cosa che fa con le prostitute, come un vero dandy. Ma l’energico patrigno non tarda a domare questo giovane “indegno”: nel 1841 Charles viene imbarcato sul Paquebot-des-Mers-du-Sud con l’ordine di mutare condotta. Il viaggio in India si riduce a una sosta alle Mauritius, unico periplo di questo novello esule. Non manca, laggiù come in Francia, il tempo di annoiarsi, malgrado gli incanti esotici della «bella Dorotea»: nelle Fleurs du mal [I fiori del male] affiorerà il ricordo dei corpi impigriti accarezzati da profumi esotici. Entrato in possesso dell’eredità paterna, Baudelaire fa del suo ritorno a Parigi una grande parata di dandismo. Spendere tutto, vivere velocemente, ubriacarsi di vino, d’amore e di arte: ecco il programma del giovane poeta, che all’Hôtel Pimodan divide la propria vita di sfida frenetica con la “Venere nera”, la mulatta Jeanne Duval. Il castigo per queste provocazioni ritenute scandalose dalla famiglia sarà senza appello: dopo un consiglio giudiziario, Charles viene posto – vita natural durante – sotto la tutela del notaio Ancelle, che gli assegnerà un misero vitalizio, giusto il bastante per sopravvivere. Il trauma causato da questa decisione, che fa di lui un minore a vita («Una castrazione», dirà il poeta Jouve), sfocia, nel giugno del 1845, in un maldestro tentativo di suicidio. Una volta cicatrizzate le ferite, Baudelaire decide di procurarsi da vivere col giornalismo artistico: il Salon de 1845 è il suo colpo di prova – come è stato detto –, il Salon de 1846 è il suo colpo da maestro. Due sue poesie vengono nel frattempo pubblicate. Dopo il dandismo, comincia la vita da bohémien. 6

INTRODUZIONE

La Fanfarlo, novella pubblicata nel 1847, fa la caricatura del poeta che medita «difficili disegni» destinati a «risibili aborti». La passione feticista del protagonista, Samuel Cramer, per un’attricetta bistrata rinvia ironicamente al fascino esercitato su Baudelaire da Marie Daubrun, teatrante dagli occhi «verdastri» che talvolta gioca il ruolo di “sorella” per l’animo malinconico del poeta. Gli avvenimenti politici del 1848 non scuotono la vita di Baudelaire. L’ebbrezza rivoluzionaria del poeta, che sale coraggiosamente sulle barricate e vuole che si vada a «fucilare il generale Aupick», sarà di breve durata. Il colpo di Stato di Bonaparte del 2 dicembre 1851 lo lascerà «spoliticizzato», come dice lui stesso. La vera rivoluzione sarà per lui poetica: l’incontro spirituale con Edgar Allan Poe. La sfortuna di questo poeta maledetto, che scrive frasi uguali alle sue, illumina di un sole nero il destino dell’artista moderno. Malgrado una non buona conoscenza dell’inglese, Baudelaire tradurrà con fraterna comprensione pressoché tutta l’opera del suo doppio americano. Rimaneggiando continuamente poesie scritte a partire dai vent’anni, Baudelaire si arrischia a pubblicare, oltre alle traduzioni di Poe, solo studi critici, dove si rende visibile un’acutezza senza pari, ineguagliabile nell’Ottocento occidentale. Ma nel 1855, parallelamente al suo resoconto sull’Esposizione universale, appaiono finalmente sulla «Revue des Deux Mondes» diciotto poesie, sotto il titolo di Fiori del male. È il preludio all’uscita così a lungo differita, presso il suo editore e caro amico Poulet-Mallassis, di cento brani della raccolta omonima, messa in vendita il 25 giugno 1857. Subito l’opera viene sequestrata per oscenità, e il procuratore Pinard, reduce da un processo contro Flaubert e la sua Madame Bovary, otterrà la condanna del libro, malgrado il sostegno di Sainte-Beuve e Barbey d’Aurevilly. A questo smacco si aggiunge il «fiasco» della notte d’amore con Apollonie Sabatier, «la Présidente», angelo e madonna del suo libro condannato. Alla fine di questo anno sinistro Baudelaire precipita in una depressione da cui non si risolleverà più. E ciò malgrado la fioritura di scritti mag7

INTRODUZIONE

giori consecutiva a un soggiorno a Honfleur, durante il quale si riconcilia con la madre rimasta nel frattempo vedova del generale Aupick: il Salon de 1859, i Paradis artificiels [Paradisi artificiali], 1860, e la seconda edizione, notevolmente accresciuta, dei Fiori del male (1861). In effetti, la «scarogna» («le guignon», come recita il titolo di una sua poesia) si accanisce su di lui: Poulet-Malassis fallisce, la sua candidatura all’Académie française viene ritirata e poi debiti, traslochi continui, droghe, l’ossessione di aver sprecato la vita, il senso di colpa per la fede perduta e infine l’inferno dell’amore moribondo per Jeanne Duval. Anche la fuga in Belgio (1864-66) per tenere qualche conferenza ben pagata e far uscire le sue opere complete, si rivela ben presto un fallimento. Gli appunti presi rabbiosamente sul «povero Belgio» stigmatizzano, attraverso i belgi, la stupidità universale. Per trovare sollievo dalla sifilide che lo consuma, Baudelaire aumenta le dosi di droga. Lo Spleen de Paris [Spleen di Parigi], raccolta di poemetti in prosa, non è molto più che una scoraggiante lista di improbabili progetti. Per due anni Baudelaire continua a girare nel cerchio infernale del Belgio, scrivendo sempre di meno e soffrendo sempre di più, fino a quando, nel 1866, viene colpito da ictus nella chiesa di Saint-Loup a Namur. Ospedalizzato a Bruxelles, il poeta, emiplegico, non può più parlare, anche se talvolta, dalla sua mascella contratta, scappa una bestemmia. A Parigi, dov’è trasportato in luglio, l’agonia continua, lucida, silenziosa, patetica, fra rari amici e la troppo ingombrante madre. Infine, gli ultimi sacramenti. Il 31 agosto 1867, mentre alcuni poemetti in prosa escono sulla «Revue nationale», Baudelaire muore, all’età di 46 anni. Il 2 settembre, al cimitero di Montparnasse, il poeta Théodore de Banville nel suo elogio funebre dice: «Egli ha accettato tutto l’uomo moderno, con le sue storture, con la sua grazia ammalata, con le sue impotenti aspirazioni, coi suoi trionfi segnati da tanto scoraggiamento e da tante lacrime». Poco dopo la morte di Baudelaire, i suoi eredi letterari 8

INTRODUZIONE

– Rimbaud, Verlaine, Mallarmé – comprendono che a quel genio malinconico si doveva la nascita della poesia moderna. E come molti anni più tardi scriverà Maurice Blanchot, «ora che Baudelaire è morto nella gloria dell’onta finale, le sue carte, i gesti della sua vita sono rischiarati da una luce nuova che li cangia, e ciascuno impara a leggerlo in trasparenza, a decifrarlo dietro il silenzio che la cancellazione definitiva ha steso sopra di essi» (1949). I FIORI DEL MALE «Il più grande esempio di poesia moderna», scrive Eliot a proposito di Baudelaire. «Il caso di Baudelaire è quello del mondo moderno; il problema di Baudelaire è quello della poesia moderna», testimonia Jouve. Baudelaire si colloca dunque nell’orizzonte della poesia moderna e leggerlo oggi significa misurare una rivoluzione poetica che non cessa di produrre i suoi effetti, sia nel campo della creazione letteraria, sia in quello della riflessione critica. «Troppo furore è intorno a noi e angoscia; ovunque io guardi, tutto va in frantumi e vacilla», scrive Hölderlin; e aggiunge: «La bella unità, l’essere è per noi perduto». Hegel, analizzando la figura della «coscienza infelice», afferma che, per essa, «la coscienza della vita, la coscienza dell’esistere e dell’operare della vita stessa, è soltanto il dolore per questo esistere e per questo operare». E più tardi Kierkegaard dirà che «il vero pensatore soggettivo esistenziale è sempre tanto negativo quanto positivo, perché la positività consiste nell’interiorizzazione continua nella quale egli viene a conoscenza del negativo». Baudelaire assume su di sé questa scissione e questa ambivalenza epocali, questo male di vivere, coniugandoli con la sua lacerante malinconia. Egli ci permette di vedere a un tempo la coscienza divisa del poeta moderno e la realtà ambivalente, malinconica, dell’unità infranta («Egli ha nominato la morte», ci dice Yves Bonnefoy nella sua analisi 9

INTRODUZIONE

della poetica baudelairiana). Ed è Baudelaire stesso a stabilire un’equazione tra modernità e malinconia: «Questa malinconia singolare e ostinata», scrive a proposito di Delacroix, fa di lui «il vero pittore dell’Ottocento». Convincimento ripreso da uno dei più acuti esegeti del poeta, JeanClaude Mathieu: «Frammentazione del multiplo, abbandono, assenza, altrettante forme di una coscienza infelice che la scrittura poetica non sublima, ma al contrario esibisce. Solo attraverso questo male e questa infelicità egli può cogliere il presente e la modernità». Malinconia è modernità: I fiori del male sono posti sotto il segno «immondo» della malinconia (nel «solco di profonda malinconia», come dice il poeta) e del suo compagno fedele, lo spirito di distruzione. In un abbozzo di dedica a Gautier, egli scrive che il suo libro è definibile come «miserabile dizionario di malinconia e di delitto». In una lettera poi definisce I fiori del male come un libro «atroce», e atroce deriva da ater, scuro, nero, come l’atra bile, la mélas cholé, il «sole nero della malinconia». D’altro canto, troviamo un Baudelaire lacerato, scisso, abitato dal dualismo. Come lui stesso afferma, l’uomo coincide con «la lotta di tutti gli istanti fra due principi opposti che si disputano l’uomo dalla culla sino alla tomba». L’esistenza di un dualismo permanente consegna il poeta al pensiero tragico, a una visione pre-dialettica del mondo. Come dice benissimo Henri Michaux, «le immagini si presentano appaiate, secondo una simmetria rigorosa, elementare, esagerata, irriflessa e follemente ripetuta, e così i pensieri venivano a coppie, l’uno suscitando l’altro, uno facendo da pendant all’altro (simile, analogo o antagonista). Strane coppie, ogni pensiero col suo contrario, il sì col no, il pro col contro, l’affermazione con la negazione, la tesi con l’antitesi». È necessario comprendere appieno lo scandalo che rappresentò per i contemporanei la pubblicazione, nel 1857, dei Fiori del male. La poesia diventava un’attività maledetta, consistente nel rivelare la mostruosità dell’uomo divorato dai vizi. «L’errore, la stoltezza, il peccato, l’avarizia / ci tormentano il corpo, ci assillano la mente»: questa è l’evidenza 10

INTRODUZIONE

su cui Baudelaire ha fondato la propria poetica. Dopo la Divina commedia, nessun poeta aveva imbarcato il lettore per un viaggio agl’inferi: «È lui, il Diavolo, che tira i nostri fili!», dice ancora il componimento liminare del libro. Marionetta satanica, il poeta scandalizza le anime buone, affermando, in Danse macabre [Danza macabra], che «Alle grazie dell’orrore solo i forti s’inebriano!». Leggere Baudelaire significa riconoscere l’attività devastante del Male, che fa di chiunque un criminale in potenza, una creatura ossessionata dalla morte, un miserabile affascinato dalla perversione. Questo tragico esame di coscienza, come pure l’aggressiva energia della sua espressione, risultarono insopportabili ai lettori del Secondo impero. Il suo patto con la parte maledetta dell’esistenza fa di Baudelaire il contemporaneo fratello dei lettori che, alla fine del XX secolo, hanno reimparato, attraverso Sade, Lautréamont e Bataille, a leggere il legame fra la letteratura e il Male. In una nota di Fusées [Razzi], Baudelaire esplicitamente sottolinea questa dolorosa alleanza del Male con l’arte: «Non pretendo che la gioia possa associarsi con la Bellezza, ma dico che la gioia ne è uno degli ornamenti più volgari; mentre la malinconia ne è per così dire l’illustre compagna, a tal punto che non concepisco un tipo di Bellezza dove non ci sia un po’ di Male». Il poeta vive inoltre lo scandalo della malattia: essa esprime il dolore e il male ed è annunciata da «sintomi di rovina». In un testo, incompiuto, il soggetto baudelairiano erra in una torre-labirinto, dalla quale non riesce più a uscire. Questa situazione è emblematica della prigione mentale in cui l’autore si è sentito incarcerato per tutta la vita: «Non ho mai saputo uscire. Abito per sempre un edificio che sta per crollare, un edificio minato da una malattia segreta». E qui Baudelaire anticipa Kafka. Lo spleen corrode l’ideale fino al vuoto completo. La malattia “de-regola” la parola, fino all’afasia. La poesia non fa che deplorare un mancanza centrale in tutto ciò che esiste, trasformando il desiderio in un’esperienza malinconica. Con Baudelaire la “verità di parola” s’incarna tragicamente. I segni sono sangue, le parole nervi, le poesie 11

INTRODUZIONE

tombe. Come l’albatro, che Baudelaire ha trasformato in una sua allegoria, il poeta sorvola «gli abissi amari» dell’umana condizione, finché morte non sopraggiunga. E ancora: «Inferno o Cielo, che importa? / giù nell’Ignoto per trovare qualcosa di nuovo!» (Le voyage [Il viaggio]). Baudelaire inventa la poesia moderna come un teatro mentale, in cui si rappresenta la commedia della morte e della noia, che compone il sinistro programma di viaggio della vita. La lucidità desolata permette al poeta di comprendere ben presto che la nuova metropoli, deplorata nella lunga poesia Le cygne [Il Cigno] («Parigi cambia!»), è il fondale moderno dove si svolge «lo spettacolo noioso dell’eterno peccato» (Il viaggio). La miseria, che incancrenisce i «sobborghi brumosi» (Spleen) di una capitale profondamente trasformata dalla rivoluzione industriale, produce, sotto i suoi occhi, forme ancora sconosciute del Male. I nuovi poveri sono i nuovi mostri di questa capitale del dolore, della quale i Tableaux parisiens [Quadri parigini] esibiscono l’orrore. Baudelaire fa entrare nella poesia non solo il sesso, ma anche la prostituzione, il decadimento, l’anonimato e l’irrimediabile solitudine che si accompagnano alla modernizzazione di Parigi nel Secondo impero. Allora ecco il poeta uomo delle folle che – ormai ben lontano dal vallon dove un ispirato Lamartine cercava il riposo del cuore – elabora il lutto e persegue la salvezza per mezzo del fare artistico. Il tempo dei poetimagi romantici è finito. Un testo di Razzi esprime la sua «collera», la sua «tristezza». Mai il poeta si è sentito più impotente. «Perso nella volgarità di questo mondo, circondato dalla folla, sono un uomo stanco il cui occhio vede indietro, negli anni profondi, solo disinganno e amarezza, e davanti a sé una burrasca in cui non è contenuto niente di nuovo, né insegnamento né dolore». Baudelaire osa una poesia che prende le misure di questo mondo finito, in cui l’esperienza non è altro che un attraversamento dell’angoscia e della malinconia («vivere è male», Semper eadem). «Che cosa deve fare ormai il mondo sotto il cielo?», si domanda perplesso e angustiato: questa domanda, che prende atto della scomparsa di Dio, fa dei Fiori 12

INTRODUZIONE

del male una ripresa in poesia dei Pensieri di Pascal, incentrati sulla miseria dell’uomo. Concetto incomprensibile alla società borghese che trionfa dopo i moti del 1848, la creazione poetica condanna alla rovina chi se ne assume il rischio. La sempiterna richiesta di soldi alla madre da parte di Charles è una metafora della nuova situazione dell’artista moderno. Senza Dio, senza mecenate, senza pubblico, egli incarna «uno di quei grandi derelitti / al riso eterno condannati» (L’héautontimorouménos). Niente più garantisce la parola poetica. Il poeta è costretto a vendere i suoi versi per vivere, come la prostituta a «mostrare le [sue] grazie». E ciò è inciso all’inizio dei Fiori nel sonetto La muse vénale [La musa venale]. Prostituendo ciò che ha di più sacro, il poeta moderno non è più che un «saltimbanco affamato». Starobinski ha mostrato bene come Baudelaire, «poeta delle “due postulazioni simultanee”, ha conferito all’artista, sotto le specie del buffone e del saltimbanco, la vocazione contraddittoria del volo e della caduta, dell’altezza e dell’abisso, della Bellezza e della Scalogna». Questa invenzione del clown tragico si trova illustrata perfettamente nel poemetto in prosa Le vieux saltimbanque [Il vecchio saltimbanco] compreso nello Spleen di Parigi, dove Baudelaire fa la caricatura, non priva di crudeltà, dello scrittore che fa divertire il pubblico. Fino all’isteria. Senza ruolo sociale e senza ragione di vita, l’artista moderno sa che la poesia è un rischio che conduce ai confini della follia. «Essere un uomo utile mi è sempre parso qualcosa di schifoso», nota Baudelaire in uno dei suoi carnet intimi. E il segreto di un tale accanimento a vivere a tutti i costi l’esperienza poetica è dovuto probabilmente a questo rifiuto appassionato della logica economica che regge la società moderna. Baudelaire ha consumato tutta la sua energia in una spesa folle, in un eccesso inutile, in un’attività gratuita, la poesia. Ritmi, profumi, colori sono stati gli oggetti del suo insaziabile desiderio. Come scrive in Mon cœur mis a nu [Il mio cuore messo a nudo], 1887: «Glorificare il culto delle immagini [è] la mia grande, la mia unica, la mia primitiva passione». Baudelaire ha sacrificato successo e salute per tro13

INTRODUZIONE

vare nell’espressione poetica un’intensità che faceva difetto a un mondo gretto, nel quale egli si sentiva perduto. Divorato dalla malattia, ossessionato dalla colpa, devastato dalla malinconia, minato dalla difficoltà di scrivere, egli non ha mai receduto. La mente bruciata dallo spleen, le speranze riposte solo nella morte e nelle sue improbabili metamorfosi, ha vissuto la poesia come un’incurabile passione. Ricordiamo come per Bonnefoy in Baudelaire sia la coscienza della morte a costituire la garanzia di un linguaggio immortale: «Il corpo, il luogo, il volto. Ingranditi a proporzioni stellari non appena riconosciuti come mortali, sono nei Fiori del male il nuovo orizzonte e la salvezza del discorso». E John E. Jackson aggiunge: «Questa conoscenza – conoscenza attraverso il dolore – è, innegabilmente, la forza che conferisce al libro la sua incomparabile verità». Secondo Gaetan Picon I fiori del male sono la poesia dell’Ecce homo: «Baudelaire è il poeta dell’esistenza in un linguaggio che supera quello dell’esistenza». Ed era stato di una prodigiosa lucidità quando affermava che suo compito era di «estrarre la bellezza dal Male». Questa è l’autentica “morale” del libro. Ma, aggiunge Picon, bisogna insistere con forza sulla struttura circolare del libro: i Fiori non debbono essere seguiti come una linea ascendente irrimediabilmente tesa tra il punto iniziale e il punto finale; bisogna percorrerli «come un cerchio», una forma chiusa in sé, che, dopo aver toccato il punto d’arrivo, c’invita a ritornare al punto di partenza. In altre parole, superata la concezione lineare del tempo, Baudelaire postulerebbe, prima di Nietzsche, il più «abissale pensiero», l’eterno ritorno del medesimo: «in ogni attimo comincia l’essere; attorno ad ogni “qui” ruota la sfera “lì”. Il centro è dappertutto. Ricurvo è il sentiero dell’eternità» (Così parlò Zarathustra, VI, 1). Infine il magistrale Pierandrea Lussana secondo il quale, sulla scia di Bion, qui si tratta della «parte mistica della personalità, delle sue esperienze della bellezza e del mistero del mondo e della mente che li concepisce e li contempla». GIOVANNI CACCIAVILLANI 14

Les fleurs du mal I fiori del male

AU POÈTE IMPECCABLE AU PARFAIT MAGICIEN ÈS LETTRES FRANÇAISES À MON TRÈS CHER ET TRÈS VÉNÉRÉ

MAÎTRE ET AMI

THÉOPHILE GAUTIER AVEC LES SENTIMENTS DE LA PLUS PROFONDE HUMILITÉ

JE DÉDIE

CES FLEURS MALADIVES C. B.

AL POETA IMPECCABILE AL MAGO PERFETTO DELLE LETTERE FRANCESI AL MIO CARISSIMO E MOLTO VENERATO

MAESTRO E AMICO

THÉOPHILE GAUTIER CON I SENSI DELLA PIÙ PROFONDA UMILTÀ

DEDICO

QUESTI FIORI MALSANI C. B.

Au lecteur

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La sottise, l’erreur, le péché, la lésine, Occupent nos esprits et travaillent nos corps, Et nous alimentons nos aimables remords, Comme les mendiants nourrissent leur vermine. Nos péchés sont têtus, nos repentirs sont lâches; Nous nous faisons payer grassement nos aveux, Et nous rentrons gaiement dans le chemin bourbeux, Croyant par de vils pleurs laver toutes nos taches.

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Sur l’oreiller du mal c’est Satan Trismégiste Qui berce longuement notre esprit enchanté, Et le riche métal de notre volonté Est tout vaporisé par ce savant chimiste. 12

C’est le Diable qui tient les fils qui nous remuent! Aux objets répugnants nous trouvons des appas; Chaque jour vers l’Enfer nous descendons d’un pas, Sans horreur, à travers des ténèbres qui puent. 16

Ainsi qu’un débauché pauvre qui baise et mange Le sein martyrisé d’une antique catin, Nous volons au passage un plaisir clandestin Que nous pressons bien fort comme une vieille orange. 20

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Al lettore L’errore, la stoltezza, il peccato, l’avarizia ci tormentano il corpo, ci assillano la mente, e di amabili rimorsi diventiamo nutrimento come il mendicante alimenta i propri insetti. Testardi nel peccato, nel pentimento incerti, chiediamo un alto prezzo per le nostre confessioni e nella via di fango torniamo poi contenti certi di un pianto vile, lavacro a ogni colpa. Sul cuscino del male Satana Trismegisto lungamente ammaliata l’anima ci culla, e il prezioso metallo della nostra volontà tutto lo manda in fumo lui sapiente alchimista. È lui, il Diavolo, che tira i nostri fili! Così troviamo seducenti oggetti repellenti; ogni giorno d’un passo scendiamo nell’Inferno, senza orrore attraversando un puzzo di tenebra. Come un misero vizioso bacia e succhia il seno straziato di un’antica puttana, così arraffiamo al volo un piacere segreto, arancia rinsecchita che a fondo spremiamo.

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LES FLEURS DU MAL

- AU LECTEUR

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Serré, fourmillant, comme un million d’helminthes, Dans nos cerveaux ribote un peuple de Démons, Et, quand nous respirons, la Mort dans nos poumons Descend, fleuve invisible, avec de sourdes plaintes.

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Si le viol, le poison, le poignard, l’incendie, N’ont pas encor brodé de leurs plaisants dessins Le canevas banal de nos piteux destins, C’est que notre âme, hélas! n’est pas assez hardie. Mais parmi les chacals, les panthères, les lices, Les singes, les scorpions, les vautours, les serpents, Les monstres glapissants, hurlants, grognants, rampants, Dans la ménagerie infâme de nos vices,

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Il en est un plus laid, plus méchant, plus immonde! Quoiqu’il ne pousse ni grands gestes ni grands cris, Il ferait volontiers de la terre un débris Et dans un bâillement avalerait le monde; 36

C’est l’Ennui! – l’œil chargé d’un pleur involontaire, Il rêve d’échafauds en fumant son houka. Tu le connais, lecteur, ce monstre délicat, – Hypocrite lecteur, – mon semblable, – mon frère! 40

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I FIORI DEL MALE

- AL LETTORE

Nel cervello stipati, brulicanti come vermi, si scatenano in un’orgia milioni di Dèmoni; nel respiro, invisibile fiume, la Morte ai polmoni ci scende con sordi lamenti. Se lo stupro, il veleno, l’incendio, il pugnale non abbelliscono ancora di ricami graziosi la trama banale dei nostri destini pietosi, è solo perché bastante ardire manca al cuore. Ma fra tutti gli sciacalli, le pantere, le cagne, le scimmie, gli avvoltoi, i serpenti, gli scorpioni, i mostri che urlano, grugniscono, guaiscono nel serraglio infame strisciando dei nostri vizi, uno ve n’è più brutto, più crudele, più immondo! Si muove appena né lancia grandi strida, della terra farebbe volentieri un’unica rovina e il mondo inghiottirebbe sbadigliando; è la Noia! – gli occhi gonfi d’un pianto involontario, sogna patiboli fumando la sua pipa. Lo conosci, lettore, quel mostro delicato, – ipocrita lettore, – mio simile, – fratello!

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Spleen et idéal

I - Bénédiction

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Lorsque, par un décret des puissances suprêmes, Le Poète apparaît en ce monde ennuyé, Sa mère épouvantée et pleine de blasphèmes Crispe ses poings vers Dieu, qui la prend en pitié:

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– «Ah! que n’ai-je mis bas tout un nœud de vipères, Plutôt que de nourrir cette dérision! Maudite soit la nuit aux plaisirs éphémères Où mon ventre a conçu mon expiation!

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Puisque tu m’as choisie entre toutes les femmes Pour être le dégoût de mon triste mari, Et que je ne puis pas rejeter dans les flammes, Comme un billet d’amour, ce monstre rabougri,

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Je ferai rejaillir ta haine qui m’accable Sur l’instrument maudit de tes méchancetés, Et je tordrai si bien cet arbre misérable, Qu’il ne pourra pousser ses boutons empestés!»

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Elle ravale ainsi l’écume de sa haine, Et, ne comprenant pas les desseins éternels, Elle-même prépare au fond de la Géhenne Les bûchers consacrés aux crimes maternels. 22

Spleen e ideale

I - Benedizione

Quando, per un decreto dei poteri supremi, viene il Poeta a questo mondo di noia, la madre spaventata, bocca piena di bestemmie, i pugni tende contro Dio, che ne sente pena: – «Ma perché non generai un nodo di vipere invece di nutrire una siffatta caricatura! Sia maledetta la notte dell’effimero piacere quando nel ventre concepii questa sventura! Fra tutte le donne tu mi hai prescelta oggetto ripugnante per il mio triste sposo, e non posso, come un biglietto d’amore, questo mostro rattrappito buttare tra le fiamme, il tuo odio opprimente farò ricadere su di lui tuo strumento crudele e maledetto, e lo torcerò quest’albero sciagurato che non sboccino le sue gemme impestate!» Così lei deve ingoiarsi la bava del suo odio e non capisce i disegni eterni, perciò in fondo alla Geenna si prepara da sola roghi consacrati ai delitti materni. 23

LES FLEURS DU MAL

- SPLEEN ET IDÉAL

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Pourtant, sous la tutelle invisible d’un Ange, L’Enfant déshérité s’enivre de soleil, Et dans tout ce qu’il boit et dans tout ce qu’il mange Retrouve l’ambroisie et le nectar vermeil.

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Il joue avec le vent, cause avec le nuage, Et s’enivre en chantant du chemin de la croix; Et l’Esprit qui le suit dans son pèlerinage Pleure de le voir gai comme un oiseau des bois.

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Tous ceux qu’il veut aimer l’observent avec crainte, Ou bien, s’enhardissant de sa tranquillité, Cherchent à qui saura lui tirer une plainte, Et font sur lui l’essai de leur férocité.

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Dans le pain et le vin destinés à sa bouche Ils mêlent de la cendre avec d’impurs crachats; Avec hypocrisie ils jettent ce qu’il touche, Et s’accusent d’avoir mis leurs pieds dans ses pas.

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Sa femme va criant sur les places publiques: «Puisqu’il me trouve assez belle pour m’adorer, Je ferai le métier des idoles antiques, Et comme elles je veux me faire redorer;

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Et je me soûlerai de nard, d’encens, de myrrhe, De génuflexions, de viandes et de vins, Pour savoir si je puis dans un cœur qui m’admire Usurper en riant les hommages divins!

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Et, quand je m’ennuierai de ces farces impies, Je poserai sur lui ma frêle et forte main; Et mes ongles, pareils aux ongles des harpies, Sauront jusqu’à son cœur se frayer un chemin.

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I FIORI DEL MALE

- SPLEEN E IDEALE

Eppure, da un Angelo invisibile custodito, s’inebria di sole il Figlio ripudiato e in tutto ciò che beve e in tutto ciò che mangia sente l’ambrosia e il nettare vermiglio. Scherza col vento, con le nuvole parla, e s’inebria cantando del calvario; e lo Spirito che nel peregrinare l’accompagna piange a vederlo lieto come uccello nel fogliame. Timorosi lo guardano quelli che lui ama, oppure, resi arditi dalla sua calma, fanno a gara chi un gemito gli strappa, su di lui dando prova di ferocia. Al vino e al pane destinati alla sua bocca mischiano cenere con sputi impuri; buttano via, ipocriti, quel che lui tocca, e s’incolpano se l’orma ricalcano dei suoi passi. Sulla pubblica via la sua donna va gridando: «Lui mi trova così bella che mi adora, perciò farò il mestiere degli idoli antichi, e come loro voglio esser rivestita d’oro; e mi ubriacherò d’incenso, nardo, mirra, di genuflessioni, carni, vini, per sapere se, ridendo, in un cuore che mi ammira usurpare mi è dato gli omaggi divini! E quando sarò stanca di queste farse empie, delicata poserò e forte questa mano su di lui; e le unghie sapranno, come quelle delle arpie, scavarsi un varco fino al suo cuore.

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Comme un tout jeune oiseau qui tremble et qui palpite, J’arracherai ce cœur tout rouge de son sein, Et, pour rassasier ma bête favorite, Je le lui jetterai par terre avec dédain!»

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Vers le Ciel, où son œil voit un trône splendide, Le Poète serein lève ses bras pieux, Et les vastes éclairs de son esprit lucide Lui dérobent l’aspect des peuples furieux:

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– «Soyez béni, mon Dieu, qui donnez la souffrance Comme un divin remède à nos impuretés Et comme la meilleure et la plus pure essence Qui prépare les forts aux saintes voluptés!

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Je sais que vous gardez une place au Poète Dans les rangs bienheureux des saintes Légions, Et que vous l’invitez à l’éternelle fête Des Trônes, des Vertus, des Dominations.

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Je sais que la douleur est la noblesse unique Où ne mordront jamais la terre et les enfers, Et qu’il faut pour tresser ma couronne mystique Imposer tous les temps et tous les univers.

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Mais les bijoux perdus de l’antique Palmyre, Les métaux inconnus, les perles de la mer, Par votre main montés, ne pourraient pas suffire À ce beau diadème éblouissant et clair;

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Car il ne sera fait que de pure lumière, Puisée au foyer saint des rayons primitifs, Et dont les yeux mortels, dans leur splendeur entière, Ne sont que des miroirs obscurcis et plaintifs!»

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Tremante come un uccellino e palpitante, quel cuore rosso glielo strapperò dal petto per gettarlo in terra con disprezzo a sfamare la mia bestia prediletta!» Al Cielo, in cui vede un trono sfolgorante, pio e sereno il Poeta leva le braccia, e il vasto lampo della sua lucida mente gli sottrae la vista di popoli furiosi: – «Tu sei benedetto, Signore, che dai la sofferenza, rimedio divino alle nostre impurità, la migliore e la più pura essenza che prepara i forti a sante voluttà! Lo so che al Poeta serbi un posto nelle schiere beate delle sante Legioni, e che l’inviti all’eterna festa di Troni, Virtù, Dominazioni. Lo so che il dolore è il solo privilegio dai morsi intatto della terra e dell’inferno e che ogni tempo paga ed ogni universo il suo tributo per intrecciarmi la corona celeste. Ma i perduti gioielli dell’antica Palmira, le perle del mare, i metalli più segreti, dalla tua mano prescelti non potrebbero bastare a quello splendido chiaro diadema; sarà fatto solo di luce pura al fuoco sacro attinta dei raggi primordiali, nel loro pieno splendore gli occhi mortali a quella luce son dolenti specchi oscuràti!»

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II - L’albatros

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Souvent, pour s’amuser, les hommes d’équipage Prennent des albatros, vastes oiseaux des mers, Qui suivent, indolents compagnons de voyage, Le navire glissant sur les gouffres amers.

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À peine les ont-ils déposés sur les planches, Que ces rois de l’azur, maladroits et honteux, Laissent piteusement leurs grandes ailes blanches Comme des avirons traîner à côté d’eux.

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Ce voyageur ailé, comme il est gauche et veule! Lui, naguère si beau, qu’il est comique et laid! L’un agace son bec avec un brûle-gueule, L’autre mime, en boitant, l’infirme qui volait!

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Le Poète est semblable au prince des nuées Qui hante la tempête et se rit de l’archer; Exilé sur le sol au milieu des huées, Ses ailes de géant l’empêchent de marcher.

III - Élévation

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Au-dessus des étangs, au-dessus des vallées, Des montagnes, des bois, des nuages, des mers, Par-delà le soleil, par-delà les éthers, Par-delà les confins des sphères étoilées,

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Mon esprit, tu te meus avec agilité, Et, comme un bon nageur qui se pâme dans l’onde, Tu sillonnes gaiement l’immensité profonde Avec une indicible et mâle volupté.

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II - L’albatro

Sovente, per svago, uomini d’equipaggio catturano albatri, vasti uccelli di mare, che indolenti accompagnano nel viaggio navi sfioranti gli abissi amari. Deposto appena sulla tolda, ecco il re dell’azzurro pieno di vergogna e goffo, misero strascina come remi accanto a lui le grandi ali bianche. Eccolo inetto e inerme il viaggiatore alato! Ridicolo e brutto, lui prima così bello! E con la pipa uno viene a stuzzicargli il becco, un altro zoppica imitando lui mutilato alato! Principe dei nembi è come lui il Poeta, abita la tempesta e dei dardi si fa beffe; esule sulla terra tra lazzi e scherno, gli vietano di avanzare le sue ali da gigante.

III - Elevazione

In alto, sopra valli e stagni, sopra boschi, monti, nuvole e mari, oltre il sole e il firmamento oltre i confini delle sfere celesti mio spirito ti muovi con agilità, e come un nuotatore si perde estatico nell’onda, tu fendi lietamente la profonda immensità con indicibile e maschio piacere.

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Envole-toi bien loin de ces miasmes morbides; Va te purifier dans l’air supérieur, Et bois, comme une pure et divine liqueur, Le feu clair qui remplit les espaces limpides.

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Derrière les ennuis et les vastes chagrins Qui chargent de leur poids l’existence brumeuse, Heureux celui qui peut d’une aile vigoureuse S’élancer vers les champs lumineux et sereins;

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Celui dont les pensers, comme des alouettes, Vers les cieux le matin prennent un libre essor, – Qui plane sur la vie, et comprend sans effort Le langage des fleurs et des choses muettes!

IV - Correspondances

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La Nature est un temple où de vivants piliers Laissent parfois sortir de confuses paroles; L’homme y passe à travers des forêts de symboles Qui l’observent avec des regards familiers.

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Comme de longs échos qui de loin se confondent Dans une ténébreuse et profonde unité, Vaste comme la nuit et comme la clarté, Les parfums, les couleurs et les sons se répondent.

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Il est des parfums frais comme des chairs d’enfants, Doux comme les hautbois, verts comme les prairies, – Et d’autres, corrompus, riches et triomphants,

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Ayant l’expansion des choses infinies, Comme l’ambre, le musc, le benjoin et l’encens, Qui chantent les transports de l’esprit et des sens.

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Sta’ lontano dai miasmi malsani, vola nell’aria superna a purificarti, e come puro nettare divino bevi lo splendore che ardente invade gli spazi trasparenti. Libero da tormenti e vasti affanni, gravanti sulla brumosa esistenza, beato chi sa con ali vigorose slanciarsi verso campi sereni e luminosi; chi col pensiero sa spiccare il volo verso il cielo libero, come le allodole, ogni mattina – chi plana sulla vita e senza sforzo intende la lingua dei fiori e d’ogni altra cosa muta!

IV - Corrispondenze

La Natura è un tempio dove vivi pilastri lasciano talvolta scaturire confuse parole; l’uomo l’attraversa tra foreste di simboli che l’osservano con sguardi familiari: Come da lontano lunghi echi si confondono in fonda unità tenebrosa vasta come il chiarore e la notte, così i profumi, i colori e i suoni si rispondono. Profumi freschi come la carne dell’infanzia, dolci come l’oboe, verdi come i prati, – e altri, ricchi, trionfanti e putrefatti, esalanti l’abbandono delle cose infinite: l’incenso e l’ambra, il muschio e il benzoino, che cantano lo slancio dell’anima e dei sensi.

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J’aime le souvenir de ces époques nues, Dont Phœbus se plaisait à dorer les statues. Alors l’homme et la femme en leur agilité Jouissaient sans mensonge et sans anxiété, Et, le ciel amoureux leur caressant l’échine, Exerçaient la santé de leur noble machine. Cybèle alors, fertile en produits généreux, Ne trouvait point ses fils un poids trop onéreux, Mais, louve au cœur gonflé de tendresses communes, Abreuvait l’univers à ses tétines brunes. L’homme, élégant, robuste et fort, avait le droit D’être fier des beautés qui le nommaient leur roi; Fruits purs de tout outrage et vierges de gerçures, Dont la chair lisse et ferme appelait les morsures! Le Poète aujourd’hui, quand il veut concevoir Ces natives grandeurs, aux lieux où se font voir La nudité de l’homme et celle de la femme, Sent un froid ténébreux envelopper son âme Devant ce noir tableau plein d’épouvantement. Ô monstruosités pleurant leur vêtement! Ô ridicules troncs! torses dignes des masques! Ô pauvres corps tordus, maigres, ventrus ou flasques, Que le dieu de l’Utile, implacable et serein, Enfants, emmaillota dans ses langes d’airain! Et vous, femmes, hélas! pâles comme des cierges, Que ronge et que nourrit la débauche, et vous, vierges, Du vice maternel traînant l’hérédité Et toutes les hideurs de la fécondité! Nous avons, il est vrai, nations corrompues, Aux peuples anciens des beautés inconnues: Des visages rongés par les chancres du cœur, Et comme qui dirait des beautés de langueur; Mais ces inventions de nos muses tardives N’empêcheront jamais les races maladives 32

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Amo il ricordo di quella nuda età: si dilettava Febo dorandone le statue. Uomo e donna non mentendo allora gioivano senza ansia nella loro agilità e, accarezzati da un cielo amoroso, godevano del corpo nobile e sano. Cibele allora, fertile fattrice generosa, accoglieva il grave peso dei suoi figli ma, lupa dal cuore gonfio di comuni tenerezze, abbeverava l’universo alle sue brune mammelle. Elegante, robusto e forte l’uomo andava fiero nel suo reame di bellezze: frutti puri e intatti da ogni oltraggio, di carne liscia e soda invitante ai morsi! Se oggi il Poeta vuol concepire quell’innata grandezza, laddove appare la nudità dell’uomo e della donna, da freddo e tenebra sente l’anima avvinta davanti a questo quadro nero di spavento. O mostruosità imploranti d’essere coperte, torsi ridicoli, toraci da baraccone, poveri corpi storti, magri, panciuti e molli che l’Utile, dio implacabile e sereno, legò, dai primi anni, in fasce di bronzo! E voi donne, ahimè, pallide come ceri, nutrite e divorate dal vizio, voi vergini che il morbo materno portate racchiuso con tutti gli orrori della fecondità! Ma noi, stirpe corrotta, abbiamo bellezze sconosciute alle genti antiche: visi che il cuore come un cancro divora, diciamo pure bellezze di languore; però tali scoperte di muse tardive non impediranno a noi razza malsana 33

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